IL ROSSO E IL NERO

  Su Enzo Ferrari, più comunemente conosciuto come il Drake, si è scritto di tutto e di più. Enciclopedie sportive, esperti del settore, appassionati e tifosi di ogni tipo si sono addannati nel corso degli anni per raccontare l’uomo che ha cambiato il mondo dell’auto sportiva italiana. Un signore taciturno, con la testa molto attiva e una visione d’insieme a dir poco futuristica per i suoi tempi. Insomma un genio dell’imprenditoria italiana prestato, giocoforza, allo sport. Un uomo tutto di un pezzo, mai sceso a compromessi, che ha fatto della sua capacità imprenditoriale un pezzo della storia del Belpaese. Ma se a raccontarlo è il figlio Piero, la cosa cambia e molto. Ecco allora uno spaccato dell’Enzo uomo, del papà vissuto all’interno delle mura domestiche. La testimonianza esclusiva di Piero Ferrari, nella conversazione con l'amico Leo Turrini, ricostruisce la vita e la carriera del Drake che seppe trasformare la propria vita in un romanzo irripetibile. Un romanzo non solo sportivo ma che racconta anche i rapporti con la vita contemporanea di questo uomo incredibile. Di seguito un brano del libro (edito da Wingsbert House) in cui Piero racconta il contraddittorio rapporto di Ferrari con il fascismo. Piero Ferrari: «Mio padre in fondo aveva una certa diffidenza, nei confronti dei politici. Diventare uno di loro non gli interessava». Leo Turrini: «Forse questa diffidenza era una conseguenza del contraddittorio rapporto con il fascismo». F: «Uhm, qui andiamo su un terreno che, per ragioni anagrafiche, io ovviamente non conosco personalmente». T: «Ma saprà che, come gli diedero del comunista, a Enzo Ferrari venne contestata, in precedenza, anche una eccessiva vicinanza al regime di Benito Mussolini». F: «Mio padre ebbe, con il Duce, un solo incontro ravvicinato. Nel 1924». T: «Come andarono le cose?» F: «Un senatore del Regno, un certo Vicini, rappresentava il collegio di Sassuolo. Questo Vicini chiamò mio padre, che di mestiere ancora faceva il pilota, per raccontargli di un progetto del capo del Governo. Mussolini voleva percorrere le strade da Milano a Roma al volante di una Alfa Romeo, una spider a tre posti. E nel transito lungo la via Emilia desiderava avere compagnia. Così Vicini contattò papà. Per guidare l'auto del Duce? No. Mussolini si considerava un ottimo pilota. Forse voleva confrontarsi con un professionista del ramo, non so. A mio padre venne affidato il compito di fare da battistrada, con una Alfa rlss. Accettò. E per una giornata intera accompagnò il capo del fascismo. Possiamo dire che nacque una amicizia personale? Non esageriamo. Qualcosa di meno. Molto meno. Pranzarono assieme a Sassuolo, poi ripartirono per Pavullo. Lì si esaurì il compito di papà. Credo che parlarono tanto di donne e di motori, due passioni che senz'altro avevano in comune. Ma poco di politica». T: «Eppure, poco tempo dopo Enzo Ferrari viene nominato Cavaliere del Regno. Ha appena ventisei anni. Come non pensare a un collegamento tra il riconoscimento e la gita automobilistica con il Duce?» F: «Fecero lo stesso ragionamento, nel 1946, gli addetti alla Commissione per l'Epurazione introdotta dal Ministro di Grazia e Giustizia. Che, guardi la coincidenza, era Palmiro Togliatti». T: «Era un ragionamento sbagliato?». F: «Con la nomina a Cavaliere, la conoscenza personale tra papà e Mussolini non c'entrava proprio niente. L'onorificenza era arrivata sì tramite un fascista, un pezzo grosso del Regime. Ma per meriti sportivi». T: «Sportivi?». F: «Sì. Giacomo Acerbo era un ministro del primo Governo del Duce. Suo fratello, Tino, era morto al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale. A lui era dedicata una corsa automobilistica sulle strade di Pescara. Mio padre l'aveva disputata e l'aveva vinta. Non solo: papà diede una grossa mano al ministro Acerbo nell'organizzazione della prova, garantendo la presenza di undici Alfa Romeo ai nastri di partenza».