Questa è la storia di una classe operaia italiana e migrante arrivata anche da Romania, Serbia, Albania ed Africa subsahariana. Ha combattuto e vinto con il sindacato della Flai Cgil una vertenza lunga 152 giorni. Ha ottenuto il contratto dell’industria alimentare (e non quello agricolo), ha strappato l’impiego a tempo pieno con un risarcimento danni per molti pari anche a 25 mila euro. E hanno trovato un modo di comunicare il conflitto attraverso il simbolo di una tenda rossa «della resistenza». In queste ore è stata smontata, pronta ad essere ricostruita in caso di necessità.

La lotta è iniziata in un torrido 3 agosto ed è finita sotto l’Epifania dell’anno successivo. L’8 gennaio si tornerà al lavoro. Una maratona. «In quei giorni non sapevamo nemmeno se avremmo avuto le forze per arrivare a metà percorso – ricorda la segretaria astigiana della Flai Cgil, Letizia Capparelli – Ora possiamo tirare un sospiro di sollievo e guardare al futuro con ottimismo, facendo tesoro di questa preziosa esperienza”.

Un’inchiesta è utile per capire come si costruisce il legame tra chi lotta, come si elabora la pratica della solidarietà, tenendo fermi gli obiettivi tra le montagne russe di una trattativa. «Questa esperienza ci sarà utile. Abbiamo vissuto momenti complicati nella trattativa, ci siamo tirati su di morale a vicenda – racconta Denis Vayr della Flai Cgil Piemonte – Il punto di forza è stata la trasparenza nelle comunicazioni, si è sempre detto tutto, non ci sono mai stati segreti. Questo ha creato una fiducia totale fra tutti».

Il sindacato ha costituito una cassa di resistenza. Lo spiega il segretario nazionale della Flai Cgil Giovanni Mininni: «Siamo stati al loro fianco anche con una raccolta di fondi, per non cedere di fronte al consueto inaccettabile ricatto occupazionale, offrendo un contratto, quello dell’agricoltura, che non riconosceva la loro professionalità». La lotta ha interessato l’organizzazione del lavoro: la riorganizzazione dei ritmi produttivi, abbiamo ottenuto il quasi dimezzamento dei suini macellati in un’ora, garantendo più salute e più sicurezza sul lavoro. Anche una svolta qualitativa che potrà assicurare attraverso la qualità, introiti maggiori e redistribuzione ai lavoratori.

Legame, solidarietà, fiducia, cassa di resistenza: ecco gli elementi per sostenere una trattativa che ha coniugato diritti e «professionalità» inquadrata in maniera corretta e retribuita secondo il contratto di riferimento del lavoro effettivamente svolto, sottolinea il segretario della Cgil Piemonte Giorgio Airaudo.

La firma dell’accordo che tutela tutti i 106 lavoratori del macello è avvenuta il 28 dicembre scorso ma non era affatto scontata. La vertenza non si era infatti aperta nel migliore dei modi, nelle pieghe di passaggi di proprietà e continui cambi di appalto che hanno finito come spesso accade per peggiorare sempre più le condizioni di vita e di lavoro degli addetti del macello.

Su Il Manifesto abbiamo raccontato sin dall’inizio i momenti complessi di una storia in cui si sovrappongono i limiti della politica industriale del paese e dell’abuso dei contratti e degli appalti. Questa infatti è anche la storia di cinque cambi di appalto negli ultimi 10 anni. Contemporaneamente il lavoro è peggiorato, rischiando di evaporare del tutto. Le cronache raccontano che i vecchi proprietari (Alpi) del mattatoio sono finiti agli arresti o con obbligo di dimora per evasione fiscale e contributiva, e altro. L’impianto è stato sequestrato per un valore complessivo di quasi 10 milioni di euro. In precedenza, durante le indagini, erano stati sequestrati 14 milioni di euro.

All’inizio di settembre 2023, il mattatoio astigiano è stato acquisito dal Gruppo Ciemme, estraneo all’indagine, che ha manifestato l’intenzione di inquadrare i lavoratori con il contratto più appropriato. È arrivato il presidio, poi le manifestazioni alla Regione Piemonte, il coinvolgimento dell’Inps. È arrivato al pettine un altro nodo di questa vicenda. L’azienda avrebbe voluto riconoscere un risarcimento danni da 300 euro a lavoratori. Alla fine il risarcimento c’è stato, ma fino a 25 mila euro. «Il sindacato non abbasserà comunque la guardia – sostiene l’Rsa Cristian Covali – gli accordi sono stati firmati, ora devono essere rispettati».