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Caccamo è un borgo medievale dalla storia millenaria. Sorge sul versante di una ridente collina, ultima pendice del Monte San Calogero, l’antico Eurako, a poco più di 7 Km. dalla costa tirrenica di Termini Imerese

Il Borgo di Caccamo

Il simbolo emblematico di Caccamo è il Castello, che con la sua mole possente e le sue torri merlate, si erge maestoso su un costone di roccia calcarea a strapiombo, a difesa del borgo, dominando la sottostante valle solcata dal fiume San Leonardo da cui trae origine l’enorme lago artificiale Rosamarina.

Caccamo è tutto un susseguirsi di viuzze strette e tortuose in pietra naturale e acciottolato, che s’intrecciano e s’inerpicano conducendo alle tante chiese che testimoniano un passato di profonda devozione e religiosità. Caccamo conserva il fascino del borgo medievale, con un paesaggio tra i più suggestivi dell’entroterra siciliano. Caccamo, come la Sicilia, ha conosciuto molte dominazioni. Greci, Cartaginesi, Arabi, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Chiaramontani, Aragonesi e Spagnoli, nel corso dei secoli, si sono avvicendati per il possesso del borgo e del castello, lasciando i segni delle loro civiltà, motivo oggi di grande interesse storico-artistico e di richiamo turistico.

La Storia

Diverse e affascinanti sono le ipotesi sulle origini di Caccamo. Alcuni studiosi ritengono che Caccamo sia stata fondata dai Greci tra il V e il VI secolo a. C. per la presenza di comunità greche (S. Giovanni Li Greci) e di alcune sepolture scavate nella roccia, in contrada La Greca; oppure dal greco Kakkabe (pernice), per l’abbondanza di questi uccelli; altri, tra cui Agostino Inveges, basandosi sull’etimologia del nome, ipotizzano che sia stato un insediamento cartaginese, quando un certo numero di Punici, guidati da Amilcare, scampati alla disfatta di Himera del 480 a. C., ad opera  del tiranno siracusano Gelone, avrebbero fondato, a ricordo dell’antico nome della loro patria, un borgo chiamato Kaccabe.

Altri, ancora, tra cui Padre Fedele San Biagio Platani, accreditano l’origine del borgo ai Bizantini per la presenza di cenobi di monaci basiliani quali: S. Maria La Nova sul monte S. Calogero, S. Felice sul monte Cane, S. Nicola dei Némori, nei pressi di Cucumo (per alcuni Caccamo), dove condusse vita contemplativa e ascetica, nell’800 d. C., l’archimandrita S. Teotista Abate.

Anche la chiesa di S. Pietro in Vinculis, per tradizione, la più antica Matrice del borgo nel cuore della Terravecchia, a ridosso del castello, presenta nel catino absidale tracce di affreschi che rimandano alla pittura bizantina. Edrisi, il geografo arabo di Corte di Ruggero II di Altavilla, fa risalire l’esistenza del borgo con il nome di Qaqabus. Alcuni toponimi di chiara origine araba, tuttora presenti nell’abitato e negli immediati dintorni, tra i quali Rabbato, Ienzana, Zafarana, Maurici, Calabruni, Medinìa, Favara, Pitirrana, Zarbo, avvalorano, infatti, la presenza di insediamenti saraceni.

Secondo altri, il nome può derivare dal siciliano Càccamu, frutto dell’albero di loto o dal latino Cacabus (caldaia). Notizie certe si hanno dal 1093 quando il borgo, appartenente alla giurisdizione della chiesa di Agrigento, viene assegnato dal conte Ruggero I, figlio di Tancredi di Altavilla, ai nobili consorti normanni Goffredo e Adelasia Sageyo, come ricompensa per i servizi resi alla Corona. Comune feudale dal 1094, resterà tale fino al 1812, anno in cui saranno aboliti i diritti feudali. Nel 1160 il normanno Matteo Bonello, venuto in Sicilia al seguito del conte Ruggero, eredita il borgo e il castello grazie al matrimonio contratto con una discendente della nobile famiglia Sageyo. Personaggio spregiudicato, concepisce l’ambizioso progetto di impadronirsi del potere centrale, riunendo nel castello di Caccamo i Baroni di Sicilia. In una sala del castello, detta “Sala della Congiura”, si decide la rivolta contro il re Guglielmo I, detto il Malo.

Durante il regno di Federico II di Svevia, nel 1202, Caccamo passa al genovese Paolo Cicàla e, dopo la morte di questi, senza eredi, a Berardo de’ Castaga, arcivescovo di Palermo. Con la dominazione angioina e la rivolta del Vespro, il borgo viene assegnato al francese Lavardin che ben presto deve abbandonarlo per le imposizioni fiscali inflitte ai Caccamesi. Nel periodo successivo Caccamo appartiene ai Chiaramonte che trasformano il borgo in un centro abitato di dignità cittadina, arricchendolo di grandi opere tra le quali: la cinta muraria intorno al castello, due torri che successivamente costituiranno i campanili del Duomo e dell’Annunziata e con una terza, detta del Pizzarrone.

Nel 1307, Manfredi Chiaramonte, per rendere agevole la strada che conduce a Palermo, fa costruire un ponte sul fiume S. Leonardo. Con il declino dei Chiaramonte Caccamo viene assegnata all’aragonese Motto Moncada che deve arrendersi all’ammiraglio Don Giaimo de’ Prades. Il Prades favorisce la costruzione di edifici di culto e conventi tra cui quello di S. Francesco d’Assisi, l’Ala Prades con la Sala delle Udienze e la Cavallerizza.

Con la morte di Don Giaimo, la signoria del castello e di Caccamo passa alla figlia Violante che la porta in dote al marito Don Bernardo Cabrera. Il fonte battesimale, eseguito nel 1466 da Domenico Gagini, le decorazioni dell’altare maggiore della Chiesa Madre e  il fonte battesimale dell’Annunziata, sono alcune delle testimonianze artistiche lasciate dalla famiglia Prades-Cabrera. Nel 1480, con le nozze di Anna Cabrera con il nobile spagnolo Federico Henriquez, il borgo vive uno dei periodi più felici della sua storia. Il 10 novembre 1643, Don Giovanni Alfonso Henriquez de’ Cabrera, Viceré di Sicilia sotto Filippo IV di Spagna, Signore del Castello e della terra di Caccamo, di ritorno da Messina, soggiorna a Caccamo nel palazzo del barone Francesco Lo Faso.

In riconoscimento dell’accoglienza festosa ricevuta e dei servizi resi dal ricco notabile, il 12 novembre 1643, eleva il borgo al rango di città, con tutti i privilegi onorifici riservati alle altre città del Regno e ripristina l’appellativo di Urbs Generosissima, già concesso a Caccamo nel 1233 da Federico II. In aggiunta, concede lo stemma dell’antica Cartagine raffigurante una testa di cavallo e il triscele, simbolo della Sicilia, accreditando l’ipotesi delle origini cartaginesi di Caccamo. Dagli Henriquez Caccamo passa agli Amato che trasformano la fortezza in dimora nobiliare. Agli Amato succede la famiglia de’ Spuches che, attraverso il letterato Giuseppe e la consorte, poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, rendono il maniero un prestigioso e raffinato centro di cultura.

La storia di Caccamo rimane fortemente legata alle vicende del castello che ha conosciuto, nel corso dei secoli, ristrutturazioni e ampliamenti da parte dei Signori che l’hanno avuto in possesso, fino ad assumere l’attuale imponente forma architettonica.

Da vedere

IL CASTELLO, simbolo emblematico di Caccamo e della potenza feudale del baronaggio in Sicilia, considerato dagli storici la più grande struttura architettonica difensiva medievale dell’Isola, fu progettato originariamente come torre di avvistamento, poi come fortilizio e caposaldo per il controllo strategico delle vie di comunicazione verso l’interno dell’Isola. Nel Medioevo constava di un’area fortificata situata su un costone roccioso all’interno del quale sorgevano le abitazioni dei Terrazzani. La Terravecchia, il primo borgo feudale di Caccamo, con la sua cinta difesa dai Terrazzani, assolveva la funzione di antemurale e rivellino avanzato di difesa e di resistenza a favore del castello.

L’orto stesso del castello, disposto in terrazzamenti fra le case della Terravecchia e le cortine murarie del fortilizio, funzionava da scarpa basamentale. Nei secoli successivi, con l’avvento delle 14 nobili famiglie che l’ebbero in possesso, furono costruite pareti a strapiombo e botole segrete; vennero aperti sotterranei e camminamenti per unire tutte le torri di guardia; s’innalzarono forche e si scavarono celle; furono escogitati trabocchetti in cui venivano fatti sparire gli ospiti non graditi.

Oggi il castello, dopo i recenti restauri, si presenta grandioso, merlato alla “ghibellina”, munito di solidi bastioni e massicce torri, chiuso da una compatta cortina muraria nella quale si aprono feritoie, logge, finestre monofore, bifore e trifore ogivali ed è meta privilegiata di visitatori italiani e stranieri.

LE ARTI. Il notevole patrimonio di opere d’arte è conservato nei numerosi edifici di culto tra cui spiccano, per particolare pregio e rinomata fama degli autori, la chiesa Madre, la chiesa della SS. Annunziata, la Badìa benedettina, la chiesa di S. Maria degli Angeli e la chiesa di S. Rocco dei Frati Minori Cappuccini.

La chiesa Madre (1090, ristrutturata nei secoli XV e XVII), custodisce: il Miracolo di S. Isidoro Agricola del 1641, firmato dal fiammingo Matthias Stom; l’Andata al Calvario del 1582, di Simone de’ Wobrek; il Trittico del XV secolo con la Madonna e il Bambino tra i santi Giorgio e Pietro, di Guglielmo da Pesaro (attr.); il gruppo fittile del Compianto in forma di Pietà, della fine del XV secolo, di Maestro toscano; la Croce dipinta su tavola della prima metà del XV secolo, del Maestro di Galatina (attr.); la Madonna col Bambino del XV secolo, di Josse Van Cleve (attr.); il fonte battesimale del 1466 e il Ciborio con il Cristo Risorto del 1470, di Domenico Gagini e aiuti; i Cinque Sensi del fiammingo Jan Van  Houbracken (attr.), 1635 c.a.; il tesoro nella cripta dei Confrati del SS. Sacramento.

La chiesa SS. Annunziata (1531) conserva: l’Annunciazione del 1725, firmata da Guglielmo Borremans; Gli stucchi del 1756, eseguiti da Bartolomeo Sanseverino; il reliquiario a statua di S. Nicasio, del 1684, di argentieri palermitani; il S. Girolamo, di scuola fiamminga, del XVII secolo; le sculture lignee policrome di S. Giuseppe e il Bambino, del 1640, di Giuseppe Serpotta (attr.); gli altari in stucco, di scuola serpottiana, del 1756; gli affreschi del 1952 del pittore Gianbecchina; i medaglioni dello scultore Filippo Sgarlata (1952-1954); opere di oreficeria, argenteria e parati sacri di valore inestimabile.

La chiesa  dei Cappuccini (1589), dedicata a S. Rocco, custodisce: la Madonna del Latte e la Visita di S. Elisabetta alla Madonna, di Padre Fedele da S. Biagio, del XVIII secolo; l’Adorazione dei Magi e l’Adorazione dei Pastori di Fr. Felice da Sambuca, del XVIII secolo; le sculture in alabastro raffiguranti la Madonna di Trapani, S. Giorgio e S. Nicasio, eseguite da Maestri trapanesi nel XVIII secolo; una ricca biblioteca di incunaboli e rari volumi dottrinali.

La chiesa di S. Maria degli Angeli (1487 -1497) conserva: la Madonna degli Angeli dello scultore fiorentino Gregorio di Lorenzo, della fine del XV secolo; la Madonna col Bambino di Antonello Gagini, del 1516; il soffitto ligneo policromo del 1497, l’urna argentea del XIX, con le spoglie del Beato Giovanni Liccio, fondatore della chiesa e del convento; alcune opere di artisti contemporanei tra le quali spiccano la Trasfigurazione e la Vergine amicta sole di Piero Gauli.

La chiesa di S. Benedetto alla Badìa (1614), mirabile gioiello di arte rococò, offre agli studiosi e ai visitatori la stupenda visione del raffinatissimo pavimento maiolicato, ricco di valenze simboliche e allegorie, eseguito da Maestro mattonaro palermitano del XVIII secolo, la tribuna lignea in oro zecchino della prima metà del XVIII sec., i meravigliosi stucchi raffiguranti la Castità, l’Obbedienza e la Cena di Emmaus di Bartolomeo Sanseverino del 1756 e l’imponente scenografica cancellata in ferro battuto del 1749.

Da vedere ancora:

il castello, dalla Via Circonvallazione;

la Piazza Duomo, tra le chiese dell’Oratorio, delle Anime Sante del Purgatorio e del Monte di Pietà;

la Piazza dei Frati Minori Cappuccini, da cui si ammira una sorprendente veduta panoramica;

il panorama del borgo, da dietro Serra e dalla Via Del Carmine.

Da gustare

In autunno e fino a marzo sono molto apprezzate le verdure spontanee sparse nei 31 feudi del’immenso territorio caccamese: qualuzzi (cavoletti selvatici), cicoria, salichi (bietole) , asparagi, finocchietti, con le quali si ottengono gustosi piatti della tradizione.  

Bovini, suini, ovini, caprini, allevati prevalentemente con prodotti del territorio, forniscono carni pregiate per grigliate e pietanze che rimandano ai sapori di una volta, deliziando i più esigenti palati. Tra questi spiccano: il capretto al forno, la salsiccia fresca di maiale arrostita o fritta o al forno con i qualuzzi, la gustosissima salsiccia “pasqualora”, un insaccato preparato sapientemente dai macellai con pepe nero macinato, sale e semi di finocchietto selvatico, la frittedda (frittella) con piselli freschi o favette verdi, la pasta cu maccu di fave e il coniglio all’agrodolce.

In estate i profumi e i sapori degli ortaggi  sono molto ricercati. Prelibati prodotti caseari, preparati secondo tradizionali metodi della cultura contadina, offrono formaggio fresco (tuma), primo sale, primintiu, stagionato, cacio cavallo, ricotta fresca di pecora, di capra e ricotta salata. Frantoi tradizionali e moderni estraggono un ottimo olio extra vergine d’oliva “biancolilla” e “nostrana”.

I dolci solitamente rispettano i tempi del calendario liturgico. Per la ricorrenza dei Morti si realizza la frutta martorana. A Natale si preparano i cucciddata (buccellati), le paste di mandorle con la conserva di zuccata candita, gli scardollini di mandorle. Per carnevale si realizzano le sfinci fritte in olio extravergine di oliva e i cannoli ripieni con crema di ricotta di pecora e gli squisitissimi taralli di carnevale. Per la ricorrenza della festa di San Giuseppe i pasticcieri deliziano il palato dei buongustai con le gustose sfinci ricoperte di crema di ricotta di pecora. A Pasqua si confezionano i panacena, o pane dell’Ultima Cena, dolce tipico caccamese, i pupi cu l’ova, gli agnelli pasquali di pasta reale, e i picureddi di zucchero.

Cosa fare

Bellissime escursioni

al  LagoRosamarina”con l’imponente diga, dalla S.S. 285

alla Grotta Santa del Beato Liccio, dal sentiero che si diparte dal Km. 9,200 della S.S. 285, da cui si gode un’atmosfera di serenità e un paesaggio mozzafiato di incomparabile bellezza

all’Eremo di S. Felice sul monte Cane.

alla Riserva Naturale Orientata Monte S. Calogero.

 

Tante poi le festività religiose, le sagre e le manifestazioni che allietano la vita e la visita di Caccamo

 ‘A Retina di S. Giuseppe: sfilata per le vie del borgo, di muli e cavalli bardati a festa con le tradizionali bisacce, bardelle, giummarri di lana colorata e cianciani, per la raccolta delle offerte dei devoti del Patriarca.

‘A Scalunata di S. Giuseppe: nella chiesa della  SS. Annunziata, per la  Quindicina di S. Giuseppe, viene allestita una spettacolare gradinata di luci su cui all’apice dell’altare maggiore viene collocato il Santo con il Bambino.

U Signuruzzu a cavaddu: Con la Domenica delle Palme si rievoca l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Un chierichetto benedicente in groppa su un asinello bardato a festa, è accompagnato per la visita alle principali chiese da dodici figuranti, in rappresentanza degli Apostoli, seguiti dalla banda musicale, dal Clero  e da una folla di devoti con cuori di palmette e ramoscelli di ulivo benedetti.

Il Venerdì Santo: nella mattinata i fedeli visitano i Sepulcri, allestiti nelle chiese aperte al culto, con i caratteristici lavureddi: piatti di grano, lenticchie, ceci, lupini, fatti germogliare al buio. Alle ore quindici del pomeriggio ha inizio la celebrazione delle Tre Ore d’Agonia con la predicazione delle Sette Parole pronunciate da Gesù sulla Croce. La sera ha luogo la processione col Cristo Morto, seguito dall’Addolorata.

La festa di S. Giorgio, patrono di Caccamo: 23 aprile.

La Festa del SS. Crocifisso: terza domenica di maggio.

La festa del Beato Giovanni Liccio: il Beato domenicano di Caccamo è festeggiato nella chiesa di S. Maria degli Angeli l’ultima domenica di maggio e il lunedì successivo, con grande affluenza di devoti venuti anche dai paesi limitrofi e di famiglie di emigrati. La sera del lunedì una grande processione di fedeli accompagna l’urna d’argento con le spoglie del Beato,  snodandosi attraverso le vie del borgo. Fermata d’obbligo è nella Via S. Orsola, nel cuore della Terravecchia, quartiere dove egli nacque.

La festa di S. Nicasio: si svolge l’ultima domenica di agosto e il lunedì successivo. La festa, conosciuta come la fiera, è un appuntamento importante per gli operatori agricoli e gli artigiani. Il lunedì  la statua argentea di S. Nicasio che calpesta la peste, viene portata in processione  per le vie del borgo.

 

Le feste campestri con funzioni religiose e spettacoli di abilità della tradizione contadina come la scalata d’ A ‘ntinna, (albero della cuccagna), il gioco delle pignatte e la corsa nei sacchi, sono:

la festa di S. Giovanni Battista: (24 maggio) si svolge nella borgata di S. Giovanni Li Greci.

la festa dell’Assunta, (ultima domenica di luglio) nella borgata Sambuchi.

la Festa di Maria Bambina, (8 settembre) nella contrada Piano Stanfa.

 

Le fiere di S. Giorgio (23 aprile), di S. Giovanni Li Greci (24 giugno) e Sambuchi (ultima domenica di Luglio) sono eventi molto attesi per la varietà di merci e utensili difficilmente reperibili nei negozi: ceste, canestri, panieri, fiscelle e lavori in ferro battuto ma anche per la compravendita di cavalli e altre specie di animali.

La sagra della salsiccia, nel mese di ottobre, con esposizione e vendita di prodotti artigianali locali: salumi e dolci vari, ma anche ricami di sfilati, punto erba, punto pittoresco, punto piatto, punto ombra, uncinetto, tombolo, chiacchierino.

 

Ogni domenica mattina nel piazzale accanto alla chiesa dei Cappuccini si svolge il Mercato del Contadino.

La Castellana è una Manifestazione storico-folcloristica che, ricreando i fasti del passato, si svolgeva attraverso un lungo corteo per le vie del borgo, formato da personaggi che ebbero la signoria di Caccamo, accompagnati da paggi, dame, cavalieri, musici, trombettieri e sbandieratori. La manifestazione si chiudeva con spettacolari tornei e giochi medievali. Dal 2005 la Pro Loco “Giorgio Ponte” ha ripristinato la manifestazione con l’elezione di una ragazza in costume d’epoca, la “Castellana di Caccamo” che, al termine di una solenne cerimonia d’investitura, prende simbolicamente possesso delle chiavi del castello.

 

Tutti i testi sono di Domenico Campisi