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Olzai è un comune di poco meno di 800 abitanti che dista 40 km da Nuoro. Si trova nella regione storica della Barbagia di Ollolai e il suo vasto territorio (poco meno di 70 kmq.) è racchiuso da nord a est da un anfiteatro di monti che proteggono il paese dai venti più freddi del nord , regalando un clima invernale più mite.

Il Borgo di Olzai

Olzai conserva un incantevole centro storico, con case in granito che si affacciano su stradine e vicoli stretti e lastricati, diviso da un’imponente opera ingegneristica degli anni venti “S’Arzinamentu”, un argine in pietrame granitico che raccoglie le acque del rio Bisine, che per la sua maestosità e per l’ottima fattura, cattura da subito l’interesse dei visitatori e rende unico il paese.

La vegetazione è alquanto varia e ricca. Nelle zone collinari e pianeggianti troviamo la macchia mediterranea di mirti, lentischi, corbezzoli, sambuchi e mandorli che incorniciano pascoli, vigneti, uliveti e che lasciano spazio, man mano che si sale di altitudine, a boschi di querce, lecci e castagni.

La vastità del territorio di Olzai e la mitezza del clima hanno da sempre contribuito allo sviluppo di un’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento con grande varietà di prodotti come cereali, ortaggi, vitigni e ulivi, nonché una ricca produzione di formaggi che oggi rappresentano il fiore all’occhiello di Olzai.

La Storia

Il territorio di Olzai è stato abitato fin dal neolitico, lo conferma anche il grande menhir che è giunto ai giorni nostri con il nome di” Babbu ‘e Ogozzi” una roccia somigliante a una figura gigantesca incappucciata, oggetto di venerazione. Il Dolmen di S’Ena e Sa Vacca, una tomba dei giganti embrionale, un Allèe Couvert, risalente alla cultura di Bonnannaro (I fase nuragica) e 17 nuraghi testimoniano la continuità della presenza dell’uomo in tutto il suo territorio.

Nel Medioevo Olzai faceva parte del giudicato di Arborea. Nel 1410 Olzai passò dalla Curatoria di Ollolai al Marchesato di Oristano di Pietro Cubello fino al 17 agosto 1420, quando finì per sempre il Regno di Arborea e il marchesato fu incluso nel Regno di Sardegna.Dopo la battaglia di Macomer nel 1478 Olzai finì sotto la completa dominazione aragonese, e agli inizi del 1500 fu unito al feudo di Mandas, diventato poi Ducato, uno dei più vasti feudi dell’isola. Dopo la guerra di successione spagnola, l’8 agosto 1720 il Regno di Sardegna passò a Vittorio Amedeo II di Savoia. Nel 1821 e fino al 1848 fu incluso nella provincia di Nuoro, nel 1859 nella provincia di Sassari per tornare nel 1927 alla provincia di Nuoro. 

A cavallo tra Ottocento e Novecento, Olzai esprimeva un’importante attività culturale. Furono tanti i laureati che si distinsero in vari campi del sapere, da quello della medicina con Francesco Boi e Pietro Meloni Satta, a quello politico con Francesco Dore e quello artistico con il maestro Carmelo.

Da vedere

L’autenticità e la buona conservazione del centro storico del paese, consentono ai visitatori di godere tra viottoli stretti e case in granito, della meraviglia dei suoi tesori artistico-architettonici.

Chiesa di Santa Barbara. La chiesa, edificata probabilmente in periodo Bizantino, è stata rimaneggiata nel tempo. Fino al 1738 fu sede parrocchiale e poi trasformata in oratorio per i confratelli di Santa croce. La facciata a capanna è in pietra faccia a vista, arricchita da cornici in trachite rossa che riprendono il motivo della torre , in riferimento al martirio della Santa. Al portale incorniciato da conci di trachite fanno da sentinella due poderosi contrafforti e sul lato sinistro si erge il campanile a vela. L’interno è a tre navate con archi a tutto sesto e ad ogiva. Il presbiterio sopraelevato è in stile gotico-catalano. Dietro l’altare maggiore è esposto il bellissimo retablo della Peste del 1477. Sono postume le due cappelle laterali, una delle Grazie e l’altra riservata alla statua del Cristo deposto, usata nei riti della Settimana Santa come “S’Iscravamentu”.

Chiesa di Sant’Anastasio. Costruita nel XII secolo ha una facciata a capanna molto semplice sormontata da un campanile a vela. L’interno piuttosto sobrio ed essenziale è a unica navata coperta con travi in legno e canne, mentre il presbiterio sopraelevato ha copertura con volta a crociera gemmata in linea con lo stile gotico catalano ed è arricchito dal prezioso Retablo della Madonna con Bambino del 1500.

Chiesa di San Giovanni Battista. La chiesa fu eretta nel XV secolo come oratorio dedicato al salvatore. Nel XVII sec. venne ampliata e in seguito divenne chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista. La facciata è in stile plateresco, molto semplice e di colore chiaro,  ravvivata da cornici terminali in trachite rossa e arricchita da un rosone centrale e da un portale incorniciato da due colonne che sorreggono un timpano triangolare sempre in trachite. L’interno è a tre navate divise da archi a tutto sesto nella navata centrale voltata a botte in mattoni rossi a vista, e a sesto acuto nelle navatelle, con volte a crociera in mattoni sempre a vista. Il Presbiterio sopraelevato, voltato a crociera si apre con un arco trionfale ad ogiva ed è impreziosito dall’altare maggiore in marmo del 1896 e da un coro in legno di noce finemente intarsiato del XVIII sec.

Retablo della Peste. Secondo la tradizione orale il polittico era stato commissionato dalla confraternita di Santa Croce in adempimento al voto per la cessata o mancata peste del 1477. E’ una tempera su tavola con fondo oro, impreziosito da una pregevole tecnica calligrafica di intenso calore narrativo, è costituito da otto scomparti e una predella, dove sono rappresentate attorno alla Madonna del latte, le fasi salienti della vita di Gesù e di Maria con le figure dei Santi. Realizzato da un pittore anonimo, oggi identificato con Lorenzo Cavaro della bottega di Stampace, rappresenta l’anello di congiunzione tra la pittura catalano-valenzana e la scuola pittorica sarda.

Retablo della Madonna con bambino. Il polittico del XVI sec. è strutturato secondo lo schema del doppio trittico e presenta caratteri comuni con le pale d’altare di scuola stampacina , attribuito ad Antioco Mainas, operante tra il 1537 e il 1571 presso la scuola di stampace. Nello scomparto centrale è rappresentata la Madonna con Bambino con sullo sfondo un drappo e nella mano sinistra un libro aperto; in alto la crocifissione e a lato e in basso i Santi. Il retablo fu ampiamente rimaneggiato nell’800 quando venne aggiunto il San Giuseppe, da qui il nome della Sacra Famiglia. In tempi recenti è stato riportato all’originale impianto iconografico.

Casa museo Carmelo Floris. Fu abitazione del pittore e incisore Carmelo Floris fino al 1960, anno della sua morte, ed è un esempio di architettura rurale del 1700 di nobili proprietari terrieri. Alla fine degli anni novanta è stata acquistata dall’amministrazione comunale e adibita a casa museo dedicata all’artista e oggi rappresenta uno delle maggiori attrazioni turistico – culturali del paese. Al suo interno tra gli arredi originali sono esposti i bellissimi dipinti, le incisioni, e i tanti bozzetti del maestro. Grande emozione suscita la visita al suo luminosissimo studio posto nel piano alto dell’edificio, dove ogni cosa è al suo posto, dai libri, ai pennelli, ai colori, alle tavolozze, al torchio con le sgorbie e i bulini, e paiono attenderlo per l’ennesimo capolavoro.

Su Mulinu Vetzu.L’antico mulino ad acqua domina l’abitato di Olzai immerso in un paesaggio incantato tra boschi di lecci e lentischi a circa 558 mt slm. Costruito nella seconda metà dell’800 è un gioiello di architettura e di ingegneria idraulica e meccanica; è un mulino di tipo vitruviano con la ruota verticale a cassette, azionata dall’acqua che cade dell’alto e fu usato fino agli anni venti per la macinazione del grano e dell’orzo prodotti nel territorio. Distrutto nell’alluvione del 1921, nel 2000 è stato oggetto di un’ importante azione di restauro per diventare oggi un interessante meta turistica e un esempio di economia eco – sostenibile.

Beni archeologici. Nel territorio di Olzai sono presenti ben 17 nuraghi e alcuni di questi, soprattutto quelli ubicati nella parte più a valle e costruiti in pietrame trachitico, si conservano in discrete condizioni, come i nuraghe “Oritti”, “Portoni”, “Sa Femmina” e “Bumbas”. Lungo la strada che da Olzai porta a Sedilo, nella regione di S’Ena ‘e sa Vacca, ricca di testimonianze storiche, si trova il Dolmen chiamato "Tumba de su Zigante”, un “Allèe Couvert” risalente alla cultura di Bonnannaro o nuragico arcaico (1800- 1500 a.C.).

Da gustare

Oggi come nei tempi più antichi, quando nelle vallate di Olzai si producevano grandi quantità di grano e orzo, il pane, sia il “pane vresa “che il “pane modde” continua ad avere un ruolo privilegiato nell’alimentazione degli olzaesi tanto che alcune aziende hanno ripreso a coltivare i cereali per la produzione di farine a filiera corta.

I dolci sono quelli della tradizione, a pasta di mandorle come amarettos, gueffos, caschettas, oppure i papassinos con le noci e “Su Co’one un sapa” fatto con frutta secca e la sapa del fico d’India, e poi Pilichittos, di semola di grano duro, e ancora Papassinos e Panettones con l’uva passa per continuare con Pistoccos e Marigosos e si possono trovare presso la pasticceria artigianale, Antichi sapori di Daga Gianfranca e il panificio di Loddo Francesca.

I bei pascoli regalano un ottimo latte con il quale si producono formaggi di pregio, come, il formaggio Maimone, l’Aromatizzato e il Canestrato, a caglio vegetale; oppure il Pecorino, il semicotto,  il Grana, il Fiore sardo e il Grana Orzaesu.

Le aromatiche erbe selvatiche del mirto e del finocchietto sono usate nella preparazione di liquori  e vigneti e uliveti donano prodotti di buona qualità.

Cosa fare

Oltre al suo centro storico, Olzai offre bellezza e varietà del paesaggio che uniti alla mitezza del clima assicurano la possibilità di camminare per gran parte dell’anno immersi in una natura incontaminata e in paesaggi incantevoli. Solo per citarne alcuni : il percorso “Sandala ‘e sos Boscos” l’antico sentiero dei carbonai o “S’Issala” antica via della transumanza.

Le occasioni speciali per visitare Olzai e apprezzarne al meglio i suoi usi e costumi sono poi tante; a fine novembre cade la manifestazione “Cortes Apertas” della rassegna Autunno in Barbagia, durante la quale il paese immerso nei caldi colori autunnali apre ai visitatori le sue antiche case, e offre le sue migliori specialità gastronomiche come i ravioli e le savade di formaggio di pecora, e manifatturiere come le corbule e le canestre realizzati intrecciando l’asfodelo “Iscraria”

Il 16 gennaio sera, si ricorda Sant’Antonio con un grandissimo falò attorno al quale si gustano i dolci tradizioni insieme al vino nuovo.

A Pasqua i riti della Settimana Santa, come la deposizione di Cristo dalla croce “ S’Iscavamentu” e poi l’Incontro di Maria con cristo Risorto della domenica di Pasqua, “S’Incontra”, regalano momenti coinvolgenti e atmosfere suggestive. La festa campestre in onore Angelo Gabriele, nell’omonima chiesetta a qualche km dal paese rappresenta un importante momento conviviale e il 26 e il 27 agosto si festeggia Santa Barbara, con la bella processione aperta dai cavalieri in costume.

Una ricorrenza molto attesa è il Carnevale olzaese, che si distingue per la sua spontaneità, dove la fantasia, l’allegria e la dissacrazione si mescolano ai riti ancestrali di una civiltà antichissima in un dualismo continuo di vecchio e nuovo, di tragicità e di allegria. Le maschere tradizionali esprimono il legame indissolubile dell’uomo alla natura nel ciclo perenne di morte e rinascita.

”Su Murronarzu”, è una maschera in legno con le sembianze del cinghiale e corna caprine, è legato con funi di cuoio e tenuto a bada da figure misteriose vestite d’orbace; mentre “Su Maimone” ( i Posseduti) è una maschera doppia, maschile e femminile, legata ai culti dionisiaci della fertilità e ricorda i riti orgiastici fatti in primavera per risvegliare la vegetazione.

Nel Mercoledì delle Ceneri, un corteo di uomini vestiti di nero con la vardetta e lo scialle e il viso completamente coperto di fuliggine vanno di casa in casa bevendo del buon vino e piangendo la morte di Juvanne Martis sero, un fantoccio trainato con un carretto che verrà poi bruciato nella piazza dopo il tramonto tra balli sardi e lamenti funebri (attitidu) in un atmosfera surreale.