Diga di Vetto, Lino Franzini:

Oggi 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, bene primario che sta diventando sempre meno scontato e che inizia a destare preoccupazioni nel prossimo futuro, in cui la situazione climatica diventerà sempre più imprevedibile con l’alternarsi di periodi di forte siccità e altri con pesanti rovesci. Tanti abitanti hanno già provato sulla loro pelle le conseguenze, come quelli di Lentigione, che hanno vissuto l’alluvione dell’Enza del 12 dicembre 2017, causa di oltre 100 milioni di euro di danni e più di mille sfollati, e come quelli di Parma, coinvolti nell’alluvione del Baganza nell’ottobre 2014, che ha causato altrettanti milioni di danni. Situazioni che si teme possano solo peggiorare, e in quest’ottica si rendono necessari interventi per mettere il più possibile in sicurezza il territorio e i suoi cittadini.

È in questo frangente che si presenta la Diga di Vetto: già dal 1800 si pensava di realizzarla, ma si credette che i tempi non fossero maturi. Venne quindi progettata alla fine degli anni 80, ma vide la luce per brevissimo tempo, dato che i lavori furono presto sospesi; essa prevedeva un invaso di 100 milioni di metri cubi d’acqua, da utilizzare sia per irrigare i campi che nei rubinetti casalinghi. Della diga ne parliamo quindi con il Geometra Lino Franzini, Presidente della Municipalità di Ramiseto e del Comitato per la Diga di Vetto, che ha dedicato parte della sua vita alla promozione di quest’opera e ce ne ha spiegati i dettagli.

Della diga di Vetto ormai se ne parla da oltre 30 anni, quali sono i motivi per cui non sono ancora partiti i lavori?

Negli anni ’70 il ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora, parmense, propose il progetto, e nell’ottobre del 1988 partirono i lavori di costruzione della Diga di Vetto, grazie al primo finanziamento CIPE (Comitato Ministeriale per la Programmazione Economica) di 30 miliardi di vecchie lire. Il Progetto era stato redatto dalla Società di Ingegneria Claudio Marcello di Milano, allora la più importante nel campo di Progettazione Dighe. La redazione del Progetto esecutivo gli era stata commissionata dal Consorzio delle Bonifiche Reggiane Bentivoglio con sede in Gualtieri di Reggio Emilia. Nell’agosto del 1989 le Lontresi schierarono contro la Diga, mosse da gruppi ambientalisti per la protezione delle lontre presenti nell’Enza; viste le contestazioni il Ministero dell’Ambiente fece sospendere i lavori e chiese il VIA, Valutazione di Impatto Ambientale, documento diventato obbligatorio ma che non lo era quando iniziarono i lavori. Una volta redatto e approvato i lavori non sono mai ripartiti, nonostante la loro crescente importanza.

Negli ultimi giorni sembra che qualcosa si stia muovendo con i nuovi fondi, secondo lei è la volta buona?

È di una settimana fa la conferma del finanziamento di 3,2 milioni di euro per lo studio di fattibilità, e si stanno programmando degli interventi sul territorio per migliorare l’invaso irriguo; se oggi si è tornati a parlare della necessità di realizzare la Diga di Vetto il merito è forse perché ci si è stancati di vedere che centinaia di milioni di metri cubi di limpide acque dell’Enza nel corso di cinque mesi vengono mandate al Po e a mare, per poi gridare ai danni della siccità. Parma e Reggio Emilia hanno il comparto agroalimentare più importante d’Europa e non hanno una diga che gli garantisca acqua. L’Emilia-Romagna è al quart’ultimo posto a livello Nazionale come capacità idrica invasata, basti pensare che la Sardegna arriva a 20 volte la nostra capacità idrica, la piccola Umbria tre volte. Le speranze che abbiamo sono legate al nuovo Governo e all’andamento climatico; se la siccità colpirà anche i rubinetti ci sarà una speranza in più. Del mondo agricolo, Parmigiano Reggiano compreso, sembra non interessi nulla a nessuno.

Alcuni articoli di giornale affermano che se ci fosse stata la diga di Vetto si sarebbe evitata l’alluvione di Lentigione. Lei è d’accordo?

Se ci fosse stata la diga di Vetto, a Lentigione neppure si sarebbero accorti che sull’Appennino stava scendendo il diluvio universale; il Progetto della Diga di Vetto prevedeva che avesse una riserva per trattenere 30 milioni di metri cubi in caso di alluvione, la cosiddetta “Piena Millenaria”, al massimo livello di regolazione avrebbe potuto quindi trattenere 130 milioni di metri cubi d’acqua per fermare le esondazioni a valle, così da evitare i casi di piene e inondazioni che affliggono il nostro territorio e proteggere le località al momento a rischio, come Sorbolo, Brescello e Parma.

Quali sono i diversi vantaggi che apporterebbe la costruzione della diga nel territorio parmense?

Il territorio parmense ne avrebbe benefici enormi: il Progetto della Diga di Vetto prevedeva di poter irrigare il Comprensorio Parmense dal Taro al Tresinaro di Reggio Emilia, una superficie di 74.000 ettari di terreno. Ma la cosa importante è che avrebbe migliorato la qualità delle acque idropotabili di Parma: infatti, quelle di montagna dell’Enza risulterebbero di ottima qualità, come lo sono quelle dell’Emilia-Romagna provenienti dalla Diga di Ridracoli, considerate tra le migliori acque idropotabili italiane. Inoltre sarebbe una soluzione in quanto produttrice di energia pulita al posto degli idrocarburi, e sarebbe un modo per affrontare la siccità, trattenendo acqua durante l’anno e usandola in estate quando ce n’è più bisogno, non solo per le case ma anche per i terreni, sia in montagna che a valle, così da proteggere i prodotti gastronomici della nostra zona, che sono sempre più in pericolo.

Ci sono invece delle criticità per cui non andrebbe costruita? Ad esempio, in questi giorni si parla del problema della sommissione della frazione di Atticola?

Lo Studio di Impatto Ambientale (SIA), rivisto interamente dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) richiesta dal Ministero dell’Ambiente ha escluso qualsiasi criticità sotto ogni aspetto sismico e geologico, anzi il progetto della Diga di Vetto prevedeva che tutti i movimenti franosi presenti sui vari versanti dell’Enza, della Lonza e dell’Atticola venissero consolidati prima dell’invasamento delle acque. Per quanto concerne gli abitanti della piccola frazione di Articola, sono ben consapevoli che questa frazione va sott’acqua. Per chi è nato, cresciuto e abita in questa frazione sicuramente sarebbe un dispiacere, ma da quanto mi risulta non vi abita più nessuna delle famiglie di Atticola, attualmente ci sono 4 o 5 nuclei arrivati da altri paesi. A parte i legami affettivi va tenuto conto che il Progetto prevedeva un ottimo indennizzo per i proprietari delle case, e in alternativa veniva proposta la realizzazione di una nuova abitazione a Vetto o a Gottano; questo per alcuni è un ottimo affare, dato che, come sappiamo bene, il valore patrimoniale delle case dei paesi montani è molto basso.

Se la diga non sarà costruita, cosa possiamo aspettarci nei prossimi anni?

Stiamo mettendo a rischio l’intero comparto agroalimentare di Parma e Reggio Emilia per colpa di chi non ha mai provveduto ad impegnarsi per garantire le acque che servono a queste attività. L’ex Ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora negli anni 70 chiese che venissero fatti gli studi per la Diga di Vetto; purtroppo morì giovane, ma la sua idea andò avanti e ne fu fatta la Progettazione. Ma la cosa assurda e inconcepibile è il fatto che le carenze idriche dovrebbero essere l’ultimo dei problemi di Parma e Reggio Emilia, dato che dalla dorsale Appenninica scendono miliardi di metri cubi di acqua di montagna, acqua che viene mandata a mare senza trattenerne un metro cubo. È privo di alcun buon senso e sintomo di disinteressamento verso il territorio e le attività agricole, si sprecano tutte le acque di montagna per poi prelevare dalle falde, a profondità sempre maggiori, oppure si pompano le acque del Po con tutto quello che contengono, e si usano per irrigare ciò che poi troviamo sulle nostre tavole; lo spreco delle acque montane è pura follia.

La diga di Ridracoli ha avuto molto successo nel proteggere dalla siccità il suo territorio, se ne potrebbe quindi costruire una a Vetto seguendo il suo esempio? Se no, c’è un modello a cui si possa ispirare, in Italia o all’estero?

La diga di Ridracoli è alta 103 metri, 20 in più di quella che si progetta per Vetto; questa costruzione ha messo in sicurezza il turismo della Romagna dal pericolo di restare senza acqua idropotabile, i romagnoli sono gente che ciò che serve lo fa: ricordo che vari ambientalisti cercarono di occupare il cantiere per impedire l’esecuzione dei lavori, ma furono sempre respinti, mentre a Vetto non lo fece nessuno. Oggi la Romagna senza la Diga di Ridracoli non avrebbe futuro, come non ce l’avranno le terre del Parmigiano Reggiano senza la Diga di Vetto. Quella di Ridracoli è solo ad uso idropotabile e idroelettrico, non è a uso irriguo, come invece sarebbe la nostra. La maggior capacità idrica della Diga di Vetto, pur essendo di 20 metri più bassa, è dovuta al fatto di avere a monte una vallata molto aperta; però le acque della Diga di Vetto non devono alimentare solo dei rubinetti di Parma e Reggio Emilia, ma anche dei canali irrigui, e questo comporta la necessità di una discreta capacità idrica. La diga di Vetto come da Progetto Marcello sarebbe sempre tutto sommato di piccole dimensioni, con un invaso di 100 milioni di metri cubi: in Sardegna la diga di Eleonora d’Arborea l’ha di 800 milioni, quella di Monte Cotugno, in Basilicata, ne tiene 600 milioni; la Salini Impregilo sta costruendo in Etiopia una diga da 84 miliardi di metri cubi, la Cina ne sta facendo ovunque, e qui si contesta un piccolo invaso da 100 milioni. In Italia eravamo primi al mondo nella costruzione di dighe, cultura che ci è pervenuta dagli antichi romani, che costruivano dighe e acquedotti dalla Siria, alla Spagna e all’Italia, e ora invece stiamo rimanendo indietro.

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